La storia si identifica agli albori del suo itinerario, con la riproduzione e la conservazione delle vicende dell’uomo attraverso il racconto, la narrazione partecipe di fatti situati nel passato.
Le cose cambiano con Tucidide che Nella guerra del Peloponneso, per la prima volta racconta di una guerra distruttiva scatenatasi in un mondo civile; l’orizzonte è quello politico-militare. La parola storia non compare mai in Tucidide, ma siamo ormai ben dentro a ciò che è storia per i moderni. I discorsi dei protagonisti vengono ora riportati in sintonia con il senso generale delle parole effettivamente pronunciate; i fatti vengono esposti dopo aver vagliato con scrupolo sia gli eventi di cui Tucidide stesso era stato testimone, sia quelli di cui aveva appreso da altri. La ricerca dei fatti diventa ricerca delle fonti, ossia dei fatti non ancora inquinati dalle valutazioni soggettive e dai giudizi di valore. Nasce così la storia come genere letterario autonomo.
Nel tempo, dunque, la storia diviene anche azione e sviluppo di accadimenti che lo sguardo dell’osservatore deve cogliere con freddezza ed imparzialità. L’acquisizione di Tucidide svela però, nella sua esplicita austerità pedagogica, che dietro il documento si pone in agguato il monumento.
La distinzione tra storia e storiografia inizia ad essere pienamente palese con Polibio secondo cui la storia è l’insieme di eventi passati degni di essere tramandati, un insieme la cui ricostruzione è di per sé un atto virtuoso. Nel passato vi è tutto ciò che serve all’uomo: la storia è vitae memoriae, magistra vitae come monumentalmente si legge nel De oratore di Cicerone.
E’ evidente il peso e l’importanza che oramai vengono attribuiti al passato organizzato e ricostruito, quel principio di utilità che Tucidide aveva chiamato in causa per fare dell’indagine storica un settore autonomo del sapere è ora diventato un fattore che condiziona fortemente la ricerca storica.
Nel Medioevo, sul piano lessicale, il patrimonio acquisito nell’antichità viene ulteriormente approfondito e definitivamente approvato: per Isidoro di Siviglia la storia è narratio rei gestae.
Un’innovazione decisiva avviene col cristianesimo. L’interpretazione biblica della storia situa l’evento decisivo non nel passato, ma nel futuro: la profezia diviene l’alternativa del monumentalismo utilitaristico e l’attesa del Messia scandisce il sentimento della temporalità dividendo tutto il tempo in un’epoca presente e in un’epoca futura.
L’orizzonte in cui ci si muove assume una doppia natura: da una parte la tradizione classica che fa del passato una sorta di eterno ritorno che regola il comportamento umano, e dall’altra vi è la tradizione cristiana che sposta verso il futuro tutta l’attenzione.
Il primato giudaico-cristiano del futuro, sia pure mitigato dal permanente rispetto del passato, innesca nei secoli il mito occidentale del progresso, dell’innovazione, del mutamento. La lunga corsa dal peccato alla redenzione diventa la faticosa marcia verso il rinnovamento del cosmo, dell’uomo e del suo habitat tecnico-scientifico, politico e sociale. Le grandi scoperte scientifiche e l’affidamento della sistemazione del cosmo al calcolo razionale, non possono non contagiare la storia. Il provvidenzialismo cristiano diventa immanente filosofia della storia e l’idea del progresso e della sua illimitata perfettibilità, ingloba nelle vicende umane quell’ordine armonioso che la scienza ha rintracciato. Ed è proprio questa filosofia della storia il fattore che emancipa i tempi moderni dal potere inibitorio del passato e che conferisce la consapevolezza di vivere una stagione nuova e lontana dal Medioevo.
Con la rivoluzione francese si assiste ad una accelerazione violenta del tempo storico. Il passato dello storico moderno non è mai veramente passato, esso è anche prefigurazione dell’avvenire. Ogni punto di vista ed ogni epoca sa far parlare le fonti del passato con la voce del futuro.
Bibliografia
K. Lowith, Significato e fine della storia, Milano,Comunità
Jhon Thosh, Introduzione alla ricerca storica, la Nuova Italia 1997