La formula utilizzata per la realizzazione del film è stata quella del Co-producer, ossia di una "co-produzione" congiunta di tutti i partecipanti coinvolti, i quali diventano, in cambio del loro contributo finanziario, lavorativo o artistico, proprietari di una quota dei diritti di sfruttamento economico del film. Un nuovo modo dei giovani cineasti che si ribellano alle logiche della commercializzazione imposta loro dai produttori per cercare forme di espressione cinematografica più libere e indipendenti.
E’ la storia di Harja, una ragazza est di venticinque anni, compagna del malavitoso Ninì Cintanidd, boss indiscusso della mala pugliese nel business dell’acqua. Rimasta incinta fugge e trova rifugio in una masseria situata nel territorio della campagna materana. Qui incontra Felice, uomo di quarant’anni, schizofrenico che ha il dono della rabdomanzia. Felice aiuta i contadini a trovare l’acqua. Ninì da incarico ai i suoi scagnozzi, i fratelli Camardo (Francesco Dominedò e Nando Irene) di rintracciare la ragazza e a Tonino l’esattore affida il compito di identificare chi lo sta sfidando nell’aprire i pozzi d’acqua. Dopo varie ricerche i Camardo trovano Harja e Tonino identifica il rabdomante. Sullo sfondo di una terra assetata Harya e felice dovranno decidere dei loro destini.
Come dimostrano le prime immagini che accompagnano fluide i titoli di testa, il tema dominante è quello dell’acqua, fonte di vita, elemento magico e indispensabile da trovare e proteggere. Il suolo lucano è la terra assetata sulla quale si muovono gli interessi di chi vuole detenere il comando dei pozzi d’acqua. Tema difficile, delicato. Dramma e commedia si mescolano nelle vite di Felice a Harja (Pascal Zullino e Andrea Osvart).
Le memorabili musiche di Louis Siciliano s’intonano perfettamente alla genuinità dei luoghi e alla spontaneità dei personaggi.
Un buon esempio di cinema italiano indipendente capace di travolgere lo spettatore in un vortice di commozione e passione.
di Mariapina Fortuna
Dalla rubrica "Ciak si gira in Basilicata"
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