Il sole è esploso allo Zenit. Un gradino rovente trova riparo sotto un filo di panni stesi. Le persiane in legno, spalancate, intonano nostalgiche arie partenopee. Gli uccelli fendono raggi di luce e giocano a disperdersi tra i sassi. In lontananza, lo scampanio delle mandrie ne abbozza la presenza.
Il ritmo di un passo irrompe nel quadro, pennellandolo di un nuovo colore: risuona ora rapido, ora lento, poi, si finge assente. E di nuovo accompagna le note. L’immagine di un uomo riemerge dalle scale: cappello nero, volto barbuto, mani e piedi consumati dal tempo. Joseph, nato a Manchester, da giovanissimo ha iniziato a dedicarsi alla giocoleria, riuscendo a vivere della propria arte in tre continenti; due anni fa, arrivato a Matera in occasione della festa della Madonna della Bruna, ha deciso di fermarsi: «Qui si sta bene. Abito in una casa abbandonata nella natura, dopo i sassi», dice reggendo tra le mani due grandi sacchi blu, quasi tutto quello che ha. «Certi giorni con lo spettacolo guadagno da mangiare, altri no. Ma sono fortunato: una signora ogni giorno mi prepara il pranzo. La gente qui è buona». Parla con lo sguardo fiero di chi ha scelto. Poi si volta e svanisce tra i vicoli.
Nel silenzio rupestre si coglie adesso il suono di un tamburello. A suonarlo è Antonio, materano di nascita, che nella sua città ha deciso di rimanere. Oggi gestisce un locale, il Quarto storto, proprio in quella zona che nel dopoguerra fu definita ‘vergogna nazionale’. «Noi giovani torniamo a vivere i sassi, non fosse per noi, tutto sarebbe abbandonato. I nostri nonni non ne parlano volentieri, loro ci hanno vissuto quando i tempi erano duri ma adesso i sassi sono un monumento».
E mentre racconta, Eustachio, detto ‘u Fattore, che settant’anni li ha vissuti interamente a Matera, annuisce con cenni di amarezza. Se ne sta seduto accanto al suo cupa cupa, strumento musicale tipico della Basilicata e della Puglia. Ripensa alla sua gioventù, tempi in cui i guagnin - i ragazzi materani - organizzavano le matinate «per conoscere una ragazza, si preparavano serenate.
Cominciavi la sera e finivi la mattina», si ferma, dissotterra un ricordo e riprende: «Tutte le ragazze avevano fratelli, cugini che le tenevano d’occhio e con la musica riuscivi ad entrare in casa. Io cantavo sempre, disturbavo tutti. Cantavo, cantavo, cantavo.». Eustachio canta ancora, ché «la tradizione della musica popolare non deve perdersi, anche se il senso è cambiato. Prima si cantava per dimenticare la stanchezza. Si lavorava duro, cantare e bere un bicchiere di vino erano la cura», così racconta, con quel sorriso rugoso di chi ha ancora tanto da dire.
Una voce dalle sonorità profonde vive nel quartiere Malve. È Ralf, viene dalla Sassonia, ed è l’unico straniero che figura in Gente di Lucania, libro fotografico edito nel 2013 che ha raccolto i personaggi più rappresentativi dell’area.
Di mestiere fa lo scultore ma si arrangia con lavori di ogni genere. «Vivo nel sasso più bello, da circa dieci anni aspetto i permessi per rimetterlo a posto. Voglio che torni fedele a quello che era» dice col suo forte accento materano. Siede su una panca rossa in compagnia dei suoi gatti, e tra un sorso al caffè ed una boccata di tabacco, racconta di come giunse qui negli anni 80.
Oggi è Presidente della Cooperativa Malve, la prima che sollevò il problema della riqualificazione dei sassi materani, nel 1977. Dice che da allora lo spirito è cambiato, che il business ha prevalso e che forse l’immagine negativa che Carlo Levi ha dato di Matera non sempre le ha giovato. Ralf parla, e a pochi metri dal suo quartiere, a Palazzo Lanfranchi, una scuola elementare mette in scena la riproduzione vivente del quadro di Carlo Levi.
Il tempo pare congelarsi. I giovani volti vestono gli antichi dolori, se ne appropriano, e alla fine se ne liberano. Per sempre.
Storie materane, storie meridionali, storie universali. Come quelle che racconta Rino, il giovane cantastorie della città, o quelle che gli anziani, all’ombra di una quercia, amano ripetere da decenni.