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Ogni 26 Luglio, a Sanza (SA), la Madonna delle Nevi del Cervati sale in vetta alla montagna più alta della Campania. Non lo fa come in tutti gli altri, simili, riti mariani che si ripetono da secoli nei paesi montani. Qui la Madonna scappa, non vede l'ora di tornare a casa nel suo santuario a circa 1900 metri sul livello del mare dove ci resterà nove giorni.
L'appuntamento è alle 2:30 del mattino in una chiesa del centro storico.
L'atmosfera in paese è molto rilassata. Ci sono tanti giovani in giro, si intuisce subito che la tradizione respira, è il primo indicatore. I maschi hanno tutti un asciugamano bianco intorno al collo. Dopo la messa, la Madonna delle Nevi esce dalla chiesa
al suo posto entra una strana statua di un'altra Madonna vestita come una sposa e con una pietra in mano.
Parte una processione molto partecipata tra le strade del paese che finisce in una cappella poco fuori l'abitato
dove la Madonna viene prima messa in una stipa di legno e poi svestita: si tolgono tutti gli oggetti decorativi e il bambino è riposto in una “canestra”. Con un pudore antico che commuove, alcuni teli nascondono agli occhi della folla i dettagli di queste operazioni.
E poi è un lampo. Un urlo, un applauso e via. Succede tutto in una frazione di secondo. Sono le 4:00 in punto. Non ho il tempo di capire, e vedere, quello che accade. La Madonna è partita con uno scatto, il viaggio è iniziato e già non si vede più. Scomparsa nella notte.
La maggior parte delle persone resta ferma mentre il prete continua a cantare le “canzoni tristi”, come mi ha confidato una signora pochi minuti prima: <<c'è bisogno della gioventù, bravi, che la Madonna vi accompagni>>.
Io e la mia compagna di viaggio, che conosco da pochissime ore, siamo gli unici forestieri. Iniziamo una rincorsa che si conclude solo un'ora più tardi. È buio pesto. Il primo tratto di asfalto è movimentato: persone e auto che vanno e vengono. Dopo un chilometro circa si svolta a destra e inizia lo sterrato, si va alla montagna. Non si vede niente, nemmeno dove mettere i piedi, bisogna essere “campioni di equilibrio” per non cadere ogni due passi. Camminiamo il più veloce possibile. Mi preoccupo per la mia amica che ha accettato questo invito a occhi chiusi fino a quando le dico: <<fai come se fossi sola>>. Non è una semplice passeggiata e non consosco i suoi limiti. Si sentono le urla dei portatori che invadono il silenzio della notte. Lo sforzo che stanno facendo esce fuori dal bosco come un ululato e rimbomba squarciando il buio fino ad atterrare soffice sui pendii alberati.
Sembrano vicini ma le distanze e il tempo hanno appena iniziato ad avere un'altra scala di valore. Sorpassiamo pellegrini che arrancano, ce ne vengono incontro altri che tornano indietro. A tutti chiediamo: <<sono lontani? Dove è il primo poggio? La fanno una sosta, vero? Quanto dura? Li prendiamo prima o poi?>>. Le risposte non sono mai identiche: alcuni sono ottimisti, altri ci spronano ad aumentare l'andatura, un paio dicono che non ce la faremo. In quegli istanti, l'idea di fare tutto il cammino da soli è straziante, la fatica condivisa è più sopportabile. Siamo venuti per stare con loro, non per scalare il Cervati.
Dopo l'asfalto c'è una radura poi Lei, la Salita. E' umido e scivoloso dopo il passaggio dei marunnari che hanno calpestato il terreno. Attraversiamo questi luoghi come fantasmi anonimi, siamo nel bosco e non ci vendiamo l'uno con l'altro. Le urla e i fischi sono costanti, ogni tanto aumentano. Si suda, si sale, si cade. Un pellegrino si riposa seduto su un tronco. Gli parliamo senza fermarci: <<non sono lontani ma dovete “pedalare”>>. E' quasi un'ora che camminiamo al massimo della velocità tra pietre viscide e fango. In salita, salita, salita. Ai tornanti si alternano ripidi tratti dritti. Io guardo a terra. La ragazza che è con me si piega su stessa come una vecchia di cento anni <<per respirare meglio e alleggerire il peso dello zaino>>. Antica tecnica di sopravvivenza.
Ogni tanto una luce o una sagoma d'uomo spuntano in lontananza, non sappiamo mai subito se sono veri. Un marunnaro con un problema a un piede è fermo. Gli fa compagnia una ragazza.
<<Tutto bene?>>.
<<Sì, tutto ok>>. Non ci fermiamo.
Ci dice che la Madonna è duecento metri avanti e che tra poco c'è la prima sosta. Duecento metri al 15% di pendenza non sono pochi. Confabuliamo di arrivare quantomeno al poggio e poi decidere se continuare l'inseguimento o tornare indietro e desistere. Non si sentono più urla (persi per sempre?). Saliamo nell'indistinto circostante mentre cresce un vociare sommesso. Una curva e poi due, tre, quattro luci ferme. Sono loro! Sono loro!
Allunghiamo i passi per raggiungerli il prima possibile. Eccoli, li abbiamo presi. La Madonna è ferma su un poggio con un altare votivo dietro. Avevo pensato che non ce l'avremmo fatta e invece eccoci qua. Sapete cosa direbbe mia nonna? Chi ci ha dato questa forza? La Mamma di tutti, Maria, la Madonna. Compresa quella di Viggiano che mi ha portato fino qui. I marunnari, una quarantina, si dissetano con acqua e bibite energetiche. Ci sono pochissime donne. Appoggio lo zaino per prendere acqua e frutta secca e sono partiti di nuovo: un urlo, uno scatto e via di corsa. La Madonna va di fretta e non aspetta. Chiudiamo tutto velocemente, ora non li lasciamo più!
Sono le 5:10 e, proprio come nella foto, ancora si vede poco, siamo dietro a tutti.
Non ci sono né antropologi, né fotografi (a parte un ragazzo del posto con una telecamera).
Il cuore è in gola, la maglietta tutta bagnata, i polpacci due tavolette, le mani gonfie.
Ma ora è tutt'altra cosa. Lo sforzo diventa anche per noi finalmente collettivo.
Ascoltiamo le conversazioni dei marunnari che già raccontano quello che è successo qualche minuto prima come se fosse una Storia tramandata. Ma tempo e spazio non sono gli stessi. Il sudore, la fatica, il crampo, l'imprecazione, la forza, la determinazione, la volontà, il coraggio, l'incoscienza, la leggerezza diventano “Epica” come osserva chi sale con me.
I fischi e le grida servono per dare la carica mentre si affrontano i tratti più difficili. La stipa di legno dove c'è la statua si piega a destra e a sinistra, qualcuno scivola e ci cade sotto.
Si sale senza fermarsi mai. Quando usciamo allo scoperto dagli alberi si intravede la luce del mattino.
Non riscalda ma ogni volta mi sembra di vivere un parto con la voglia di respirare e vedere oltre i tronchi e i rami dei faggi.
Questa montagna è una pietraia. La via "scelta dalla Madonna" è solo per giovani e forti. E devoti.
Si avanza su un percorso sconnesso e difficile. La fatica rischia di prendere il cervello e prima di aprire bocca per dire qualcosa avviene una selezione naturale dei concetti importanti che vale la pena esporre a voce alta. Non c'è tregua alla salita. Se ti concedi trenta secondi di pausa sei preso, li hai persi.
Intorno alle 6:00 circa, alla fine di un tratto lungo, ripido, duro e ombroso si intravede una radura, la luce del sole, e si sentono le prime note di un organetto. Che sollievo! Penso sia iniziata la festa, che ci siano pellegrini venuti incontro da sopra. Siamo al secondo poggio. È alba, ora.
L'organetto non fa in tempo a fare due canzoni.
Questa Madonna ha fretta. Ancora un urlo, ancora uno scatto e scompare dietro un ennesimo tornante. Una pazzia collettiva, una forza stra-ordinaria muove questi uomini. Rimpiango le soste dei riti arborei di Accettura e Rotonda o di quelli mariani di Viggiano e Sirino durante le quali ci si concede il tempo per la festa. Mi avvicino ai fuochi, accesi con la legna tagliata durante la pulizia del percorso, per far asciugare la maglietta. Tanti hanno fatto la stessa cosa.
Rimaniamo da soli a provare il piacere di stare seduti su una panchina, con i piedi che non toccano a terra, solo per poco. Non c'è già più nessuno. Ho osservato alcuni che non si sono nemmeno fermati alla pausa per portarsi avanti. Dopo pochi minuti c'è solo un ragazzo (foto sotto) che ha offerto da bere a tutti acqua, Gatorade, thè freddo e birra. Carichiamo anche noi il nostro fardello sulle spalle con altri pesi. Io prendo due Peroni che non berrò, lei una bottiglia di thè. Inutile sacrificio? Tornano a casa “benedette”.
<<Il peggio è passato>>.
Può bastare una frase come questa a dare entusiasmo, energia, rinnovato vigore ai muscoli, anche se hai la consapevolezza che sia detta solo per non scoraggiare? Sì, può bastare. Forse per questo lo chiedo imperterrito e in continuazione a tutti quelli che superiamo di nuovo.
Il peggio davvero è passato quando leggo un cartello che segna quota 1500 s.l.m. vuol dire che mancano solo altri 350 metri di dislivello da affrontare. Sono le 6:30, in due ore e mezza siamo saliti di 1000 metri!
Tutto davvero è passato quando usciamo dall'ultimo bosco. Ci rifocilliamo con il paesaggio, sì, è possibile.
RiSaliti.
L'ultima pietra.
È un ricordo indelebile l'ultima pietra. Quanto può durare l'attimo in cui scorgi la meta?
Eccolo, il Santuario, un miraggio alla fine di questa valle nascosta, di pietre e di erba, aspra e rassicurante, desolata ora festante. In tre ore e mezza 15 chilometri con 1500 metri di dislivello. "Questi so' matti" di fede e devozione. Qual è il mistero che si cela dietro le fatiche di popolo collettive? Un legame d'acciaio che non trova definizioni. Gli eroi? La sfida infinita? L'impresa "epica"?
La processione ora è lentissima. Sembra ferma, forse lo è. Tutti hanno la possibilità di portare per un tratto la Madonna ancora dentro la "stipa".
Si procede piano perché è arrivata alle 7:30 qui sopra. Con un'ora di anticipo rispetto la tradizione. Un record assoluto. <<Quest'anno c'erano i giovani!!!>>. Una storia che rimarrà negli annali della memoria orale condivisa dal popolo di Sanza. “Nel 2014 siamo arrivati alle 7:30”. Sette parole che non possono bastare per raccontare l'impresa.
La Madonna è accolta dagli applausi e subito dopo viene ricomposta, con la stessa attenzione di quando è stata svestita, e portata a “casa sua” di fronte il santuario per essere salutata da tutti i presenti.
<<Evviva Maria, Maria è sempre viva
Evviva Maria e chi la creò
E verso le Stelle, Maria si incorona
si mette la corona e in cielo se ne va>>
I maschi si alternano alle donne in questa invocazione cantata con trasporto contadino. Ascoltarla dal vivo mette i brividi e le lacrime agli occhi.
Il prete prende la parola e racconta la storia della devozione dei fedeli di Sanza e ricorda che il pellegrinaggio si ripete ininterrottamente da oltre 150 anni. Anche lui alimenta il racconto delle geste eroiche facendo scattare un applauso per i marunnari che sono arrivati, già, alle 7:30. Non risolve il dubbio su come si chiami la montagna e la Madonna. Dall'inizio del cammino sentiamo: Madonna del Cervato che sale al Monte Cervati, Madonna del Cervati, Monte Cervato. L'ipotesi più accreditata, da quanto riusciamo a capire chiedendo a più persone, è che in passato si chiamasse Monte Cervato mentre sulle cartine è riportato Cervati. Noi deliberatamente ci concediamo il lusso di chiamarlo una volta per tutte Cervat', il dialetto su tutto.
Alla destra del prete nella foto sopra, dietro l'altare, c'è Pasquale, l'ex priore dell'Arciconfraternita che gestisce il santuario e, che ho incontrato l'anno scorso durante la processione della Madonna di Viggiano. Fu lui a raccontarmi per primo questa tradizione e mi invitò a partecipare alla processione. Qui l'articolo che descrive il nostro incontro.
Dopo la messa tutti fanno una visita alla Madonna nella Grotta. L'ingresso è più piccolo della statua che non può uscire. Si narra che la Madonna abbia chiuso l'ingresso facendo precipitare due grosse pietre “per non essere spostata e restare per sempre lì dentro”.
Si offre ottimo vino paesano e panini per tutti. Un organetto si diverte a fare compagnia a chi ha ancora forza di stare in piedi. I ragazzoni che hanno “fatto l'impresa” sono seduti, accovacciati, alcuni dormono. Un signore mi racconta che durante le due guerre furono le donne a portare la Madonna al Monte e che un anno, tra i '70 e gli '80 la portarono in su in 16! L'impresa, di nuovo l'impresa.
Mentre sorseggio il vino non riesco a metabolizzare tutto quello che è successo in così poche ore. La fatica è scomparsa. I piedi e i muscoli non fanno male. Tutti sanno perché, anche mia nonna. Il vino e il panino hanno placato fame e sete. Resterei qui sopra per giorni a far veleggiare i pensieri perdendo lo sguardo nel panorama ora da un lato, con tutte le montagne della Basilicata, ora dall'altro, con il mare, il Golfo di Policastro fino all'Isola di Dino.
Arriva il momento di cercare un passaggio per Sanza. Una volta il ritorno si faceva a piedi! Ora ci si ritrova pochi chilometri più giù dove viene consumato il pranzo e può iniziare la festa. Le macchine sono tutte piene. So per certo che non ci lasceranno qui. Ci vogliono venti minuti ed ecco che arriva un pickup: <<C'è spazio a cascione!>>. Saltiamo dentro al rimorchio insieme ad altri. E' una discesa dove si salta e si prende aria. Pochi secondi per entrare in confidenza con il figlio dell'ex-priore e Pasqualino Show, cantante, “che si prende cura dei vivi e dei morti” (è il custode del cimitero e del campo sportivo).
Scendiamo a Ruscio di Vallivona dove si attrezzano grandi banchetti. Ci conosciamo da 4 minuti e ci invitano a pranzo! Una bottiglia di vino da portare in dote ce l'abbiamo ma il nostro tempo è altrove oggi.
Ancora a passaggi verso Sanza. Sono circa 25 chilometri. Aspettiamo una mezzoretta prima che un fuori strada ci carichi. Dentro c'è un'allegra compagnia che parla di fatti del paese. L'autista è un ex amministratore al quale chiedo: <<come si fanno a vincere le elezioni in un piccolo comune?>>.
Mi lascia così: <<Ragazzo, tieni la barra sempre dritta e la gente con il tempo capirà, non ti arrendere mai>>.
L'ultima immagine la scatto saltando da una parte all'altra a ogni fosso, con la faccia appiccicata al finestrino posteriore mentre il Cervat' è già ricordo. La discesa: venti minuti di felice nostalgia. Non è mezzogiorno. Evviva Maria!
NOTA: se leggete questo articolo prima del 4 Agosto, e avete la possibilità, andate alla processione in discesa. Il consiglio è di essere in vetta la mattina del 4 per festeggiare con loro e poi scendere con la Madonna nelle prime ore del 5 Agosto. Non salite con la vostra auto...
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